La Galleria Luca Sforzini Arte cerca amici di GIANDANTE X : uomini e donne che l’abbiano conosciuto personalmente o loro eredi, detentori di documentazione su di lui (corrispondenza, scritti, foto e ovviamente opere di qualunque periodo), collezionisti. Siamo interessati ad acquistarne le opere e a ricostruirne con maggiore precisione la figura. Info : Luca Sforzini 331-4125138 lucasforziniarte@libero.it
Luca Sforzini Arte - Galleria d’Arte italiana ed internazionale presenta : GIANDANTE X
Giandante X è poesia, di vita e di opera artistica. I suoi estimatori ben conoscono le molle interiori, intime, che li spingono a collezionarne le opere. Non occorrono motivazioni esplicite. ..."Se ne accorgeranno fra qualche anno, c’era Giandante, l’anarchico antifascista... conosce trenta galere europee, laureato al Politecnico, scrive versi come Jacopone..." .
Lo storico dell’Arte Edoardo Varini, in presentazione della Mostra “GIANDANTE X – Un grande del ‘900” tenutasi da febbraio ad aprile 2013 presso la Galleria Luca Sforzini Arte, ha scritto:
«Lo spirito dell´architetto anima tutta l´opera di Giandante»: così si conclude l´articolo dell´"Unità" del 13 giugno 1925 intitolato "La mostra Giandante: a bottega di poesia". E Dante Pescò, milanese del 1899, architetto lo è. A esser precisi nel 1919 è il più giovane architetto italiano, ed è così bravo da essere accostato a Sant´Elia, Antonio, morto soldato tre anni prima con un proiettile austriaco nella testa, principale e primo architetto futurista, quando il futurismo è l´avanguardia artistica del mondo. Pescò ha anche questo in comune con Antonio, il coraggio. Tutti hanno una soglia della paura: in alcuni è spostata talmente in là da sfumare all´orizzonte. Fra questi Dante, che da ora è Giandante, che viene da "viandante", con quella G davanti che vale "God", Dio, il Grande Architetto, e quella X in coda che vale l´Incognito che inscalfibile ci attornia. Ma provare ad abbatterlo è comunque il destino dei più valorosi. Anche nel fallimento c´è la grandezza, e forse l´impresa più grande non può sortir altro che l´averla tentata. Scrive Leonida Repaci, scrittore e critico suo grande amico: «Per metà uomo-Dio, e per l´altra metà diviso in parti uguali tra anarchia e comunismo, Giandante, poeta, pittore, scultore, architetto, mimo e musico, è più un personaggio che un uomo, più un emblema che un individuo [..] Chi lo incontra non lo dimentica più». E come dimenticare uno che quando la notte diventa delle squadracce fasciste si oppone loro col loro stesso linguaggio, quello dello scontro? Lo so che alcuni storceranno il naso, ma la storia si fa anche con le mani. Come i dipinti, le case e le cattedrali. Giandante cerca fratelli di lotta, e li trova, e li chiama "Cappe nere", e li riunisce in un sotterraneo di piazza Duomo a Milano, ed insegna loro a combattere. Nel ´23 lo arrestano e lo torturano fin quasi a farlo impazzire. Ma falliscono, e il giorno dopo parla dell´accaduto come di «ordinaria amministrazione». è di nuovo in piedi, a combattere. Si crede Robespierre, anche fisicamente, dice chi l´ha conosciuto bene. E forse lo è, per come osa e agisce. Il Sermone della montagna + la Rivoluzione francese + la Rivoluzione d´ottobre + più un monacale rigore, sì, con il segno +, lo scrivo come nel "Bombardamento di Adrianopoli" di Marinetti «intorno a Adrianopoli + bombardamento + orchestra» perché le parole arrivano fin lì, e poi ti serve il segno. Scoppia la guerra di Spagna: i franchisti hanno un nemico in più, Giandante. Sa dove stare e, come l´Ebreo errante, ci sta. Uno così non lo tieni, uno che crede che l´unica vera arte sia la lotta per la libertà, a chi ha venduto l´anima al potere fa paura. Guardate i volti che ha dipinto a encausto. Nella mostra di Luca Sforzini ne vedrete. Potessero cantare, la canzone sarebbe questa: «Se non ci conoscete guardateci sul viso, veniamo dall´Inferno ma andiamo in Paradiso, bombe a man e colpi di pugnal». Lo so, lo so, è terribilmente politicamente scorretto. Ma io avevo un nonno, Faust, che a 17 anni s´arruolò nei reparti d´assalto, e che a 72, prima di morire, me la sussurrava. Non chiedete a me di non riconoscere e dire questo genere di grandezza, questa cosa che fa di un uomo un uomo o un niente, e che vorrei chiamare con il suo vero, ormai dimenticato, nome: coraggio. Al vero coraggio segue sempre la vera pietà. Guardate quei volti: nel Novecento uno solo ha saputo fare altrettanto, di ogni uomo un Cristo: Rouault.
Riporto infine lo splendido articolo di Roberto Farina, da Mescalina : ” Se alla fiera dell’antiquariato, sui navigli milanesi, chiedeste di Giandante X, molti non saprebbero cosa dirvi. Solo i più anziani, forse, vi diranno "me lo ricordo l’architetto Giandante! Un ometto silenzioso che dava i suoi quadri per niente, alla dozzina". Un altro vi dirà che non gli interessa, perché "non ha mercato", e tornerà subito al suo daffare. Un altro, forse, sorriderà e vi dirà che conosce bene il grande Giandante, e vi parlerà di lui e dei suoi quadri, che valgono così poco, e poi, nel salutarvi, dirà tra sé: "Purtroppo non ha avuto successo, perché la gente non gli ha perdonato il suo passato fascista...". Un altro, l’ultimo della rassegna, avrà forse un suo quadro, che, visto il vostro interesse, vi quoterà il triplo del collega di poco fa, assicurandovi però che è un buon prezzo, perché prima le sue opere valevano molto di più, "ma poi ha cominciato a bere, e allora s’è rovinato...".
Se poi faceste una ricerca in biblioteca, dopo diversi insuccessi, forse incappereste in un studio del prof. Tempesti, dove leggereste d’un pittore "dalla fisionomia mussoliniana", del quale non si sa nulla e sul quale non vale la pena soffermarsi... E fermandovi qui, rimarreste tutt’al più con una vaga curiosità per un tale dal nome bizzarro... E sarebbe un peccato. Perché non sapreste mai chi fu veramente Giandante X, l’anarchico antifascista che dedicò la sua vita all’Arte e all’Umanità.
1.
Bisogna salvare l’uomo: la libertà si conquista,
la ruota muove il tempo
Giandante X nasce l’8 agosto 1899 a Milano, primogenito d’una ricca e numerosa famiglia di industriali tessili. Cresce "come in un deserto", circondato da un "terribile silenzio". Il padre non deve vedere di buon occhio le aspirazioni artistiche del figlio. E’ il 1° ottobre del 1916 quando Giandante lascia per sempre la casa paterna e comincia una vita di studio, senza mezzi.
Nel 1919 prende la laurea in architettura; due anni dopo, in filosofia. E’ il più giovane architetto italiano, i suoi professori lo accostano a Sant’Elia. L’Università di Architettura di Bologna gli offre la docenza, Brera il posto di assistente alla cattedra d’architettura, il Comune di Milano gli chiede di far parte della Commissione Edilizia ed Artistica della città, ma rifiuta tutte le proposte. Sceglie ora lo pseudonimo che terrà tutta la vita: "(…) si dichiarò Giandante; realmente fu un viandante perché non ebbe sosta e, fu anche un crociato perché sulle sue spalle s’applicò l’enorme incognita X (eterno divenire)".
Mangia riso in bianco, pane e acqua, si allena ogni mattino. Indossa in ogni occasione un abito scuro, calzoni da soldato, scarponi chiodati, e un pastrano nero che potrebbe anche apparire elegante, se il suo viso "scavato, magrissimo, freddo, sbarbato, demoniaco, non gli togliesse qualunque idea di vanità (…)". Raffaello Giolli racconta che la gente si scosta al suo passaggio, per "lo sguardo ritto e freddo" e per quel "passo aggressivo che ha dell’assalto".
E’ tra i primi a rispondere colpo su colpo alle squadracce fasciste, nelle fila degli "arditi del popolo", e al loro scioglimento fonda, nel ’22, le "Cappe Nere", gruppo antifascista "di pensiero, di azione, di forma". Disegna moltissimo, passa notti insonni a "inseguire" con la "matita pura e rapidissima come il fulmine" tutto ciò che vede muoversi nel suo studio, "dalla pulce alla formica (…) indi le pietre, le piante e finalmente il misterioso e perfetto essere vivente in continua evoluzione: l’uomo, il diamante intellettuale della materia".
Nel dicembre del 1920 espone 2500 piccoli studi a china e a matita, nei quali si può notare una ricerca antinaturalistica, di matrice nordica, che non ha simili in Italia, se non in Wildt, che cura il catalogo della mostra. Potrebbe ora, spinto dal successo d’esordio, percorrere le vie usuali che si aprono a un giovane di talento in una città come Milano, ma si ritira nel suo studio. Nella memorialistica dell’epoca è assente, fatta eccezione per Rèpaci, e per Sassu: "Se ne accorgeranno tra qualche anno, a Milano c’era Sironi, che era fascista populista, e Giandante, l’anarchico antifascista (…). E’ stato uno dei creatori dello stile Novecento…(…) secondo me Giandante è un personaggio molto suggestivo, conosce trenta galere europee, laureato al Politecnico, scrive versi come Jacopone (…)" - Venturoli: "E perché nessuno se n’è ancora occupato?"- Sassu: " E’ lui che rifiuta".
Nel ’22 presenta le sue "sintesi architettoniche", unica eco in Italia delle ricerche delle avanguardie europee, che ripropone l’anno seguente alla I Biennale delle Arti Decorative di Monza. In quest’occasione non raccoglie la possibilità di collaborare con "De Stijl", offertagli dal presidente dell’associazione architetti d’Olanda, Boeken.
Quando muore il padre, rifiuta l’eredità, ma riceve ventimila lire, che spende in due giorni: duemila a Rèpaci, per un romanzo; il resto in rivoltelle e libri, venti quintali.
2.
Come una ghigliottina
il mio cuore si rivolta nei giorni di tempesta
Nell’aprile del ’23 viene incarcerato su delazione d’un affiliato delle "Cappe nere": "Già varie volte arrestato, quella sera gli fu fatale: e, sotto la tortura rasentò la pazzia". In carcere si taglia i polsi, "per protestare contro i ritardi del processo", come dirà poco dopo a Pietro Longo, anche lui a San Vittore in quei giorni. Longo non dimenticherà mai questo gesto, né le parole "di ordinaria amministrazione" con cui Giandante gliene parlò l’indomani.
Il processo, in cui si difende da solo, è in parte raccontato da Rèpaci nel libro "Storia dei Rupe". Non trovandosi il nascondiglio delle armi, Giandante è rilasciato, ma viene schedato come "nichilista incendiario" e tenuto sotto controllo per dieci anni, fino alla fuga all’estero nel ’33.
Nel 1925 partecipa alla II Biennale delle Arti Decorative di Monza; su pareti e piedistalli neri spiccano figure e plastici d’architettura nei quali si nota la ricerca d’una stilizzazione austera ed essenziale.
Dal 1925 comincia a collaborare con "L’Unità": in questi lavori, presenti nel quotidiano fino alla sua chiusura, porta avanti quella rarefazione del dato naturalistico che ormai è segno distintivo di tutta la sua ricerca. A una sua mostra, nel ’26, anno delle leggi "fascistissime" e del "tribunale speciale", dichiara ad un cronista: "Ecco "le Galere"- dice, indicando una sua opera con questo titolo -, io, non condanno l’uomo, per me, sono deserte come un dolore senza conforto: Voi, uomo, fuori dalla mia concezione, date loro i vostri condannati i vostri colpevoli".
Nel 1927 partecipa alla III Biennale di Monza, dove raggiunge il vertice del suo costruttivismo. Agnoldomenico Pica riconoscerà in questi lavori (alcuni dei quali risalgono almeno a cinque anni prima) l’origine, accanto a quelli del "Gruppo 7", del razionalismo italiano. Ma Giandante sta già iniziando una rielaborazione delle forme che presto lo allontanerà da questi risultati. Più lo Stato esalta l’eroe, più Giandante ne mette in luce cupezze e sofferenze; lui, che aveva contribuito nei primi anni Venti all’elaborazione grafica di questo mito, ora che lo vede reclutato dal fascismo, se ne allontana. Il suo lavoro, finora pulito, geometrico e tagliente, vira a un sinuoso espressionismo, primitivo e sofferto: scava e buttera il carbone, il cemento, l’antracite pura, e dipinge usando la morbidezza della spugna e la lucentezza dell’encausto.
Così si staglia, con le cupezze primordiali della sua scultura e i colori caldi della sua pittura, sul "nuovo ordine" e sulle terre del Novecento. Si isola sempre più.
3.
E come campana
I fucili battono le porte della storia
Nell’ottobre del 1933 passa in Svizzera, poi in Francia. Nasconde "opere, carteggi, libri e documenti, parte presso di sé, parte presso amici", ma al suo ritorno non troverà nulla. A Parigi tiene due mostre alla Galleria Auguste Gerard, e vive d’ogni genere di lavoro, dal facchino al decoratore. All’indomani della ribellione militare spagnola, getta tutte le opere che ha con sé nella Senna e parte per Barcellona.
Dopo un periodo di trincea nella 134^ Brigata Mista, viene da Longo assegnato all’Ufficio propaganda e stampa, dove produce idee grafiche, disegni, bozzetti per sculture, e manifesti che lasceranno il segno nella grafica repubblicana. Nel 1937 l’EIAR diffonde la notizia della sua morte nella battaglia di Guadalajara:
"(…) il compianto per la morte di Giandante - scrive Rèpaci anni dopo - fu generale nell’ambiente artistico milanese. Si riconobbe il genio di Giandante (il talento non bastava più); si scoprì la bellezza di una vita spesa per l’ideale; si pensò da molti al miglior modo di dare a Giandante morto la gloria che Giandante vivo non aveva potuto raggiungere per il fariseismo dominante, si progettò una grande retrospettiva di Giandante che offrisse un quadro completo delle eccezionali capacità dell’artista; (…) La gloria postuma di Giandante durò alcuni anni, fino alla caduta del fascismo, quando egli rientrò in Italia. (...) Ci fu chi lo ignorò per la rabbia di averlo visto sopravvivere a se stesso; ci fu chi gli rifece il deserto intorno per il dispetto di averlo dovuto riconoscere da morto, ci fu chi giurò a se stesso che neppure la morte vera avrebbe più spostato l’ago della bilancia".
Il 28 marzo ’39 cade Madrid, ed è l’esodo oltre confine: "(...) entrarono in Francia circa duecentocinquantamila militari, di cui diecimila feriti gravi, centosettantamila donne e bambini e settantamila civili, fra cui molti anziani, (...) vennero raccolti in camps de collectage a ridosso dei Pirenei, lande fredde ed umide, battute dal vento, senza alcun riparo dalle intemperie e con scarso cibo".
Campi di concentramento: così la democrazia francese accoglie i profughi di Spagna. Giandante è deportato a piedi a Gurs, Vernet e Saint Cyprien, Nei campi francesi realizza sculture in fango e paglia, e minuscoli coloratissimi schizzi ad acquerello: queste figure di uomini che scavalcano montagne con un passo, si torcono dal dolore, corrono, si abbracciano e danzano solitari, sono d’una pittura densa di soggettività umorale, che ritroviamo in questi anni in Italia nei giovani di "Corrente", che nel colore, nella gouache, nella "cromia veloce e diretta" trovano un tramite per l’Europa e per l’antifascismo. Tra gli artisti di "Corrente" è Sassu quello più legato a Giandante, al quale riconoscerà sempre il suo debito. I pittori di "Corrente", grazie anche al magistero e all’esempio di Persico e Banfi, capiscono la necessità di un’arte "eticamente motivata e drammaticamente comunicativa". Per Banfi "l’arte vuol vivere e la vita è una cosa sola con la libertà"; e per De Grada la grande conquista degli anni Trenta è comprendere che "in arte, come altrove, l’intelligenza e la sensibilità solo non fanno l’uomo, se gli manca il carattere. In arte, come altrove, il problema è un problema d’etica. Bisogna rivoluzionare la persona umana. La qualità dell’invenzione stessa è a questo prezzo", e che "se non cambiavano i termini del rapporto civile, neppure loro (gli artisti) potevano conquistare la libertà nell’autonomia dell’arte, circondata dalla schiavitù di tutti. La lotta per la libertà divenne il motore del processo artistico". Giandante scriveva nel 1930: "l’hanno chiamato artista e si è ribellato, dicendo che se la vita è arte allora non c’è bisogno di essere artista; piuttosto è importante essere dei filosofi esteti ossia dei morali, per far sì che la vita (Arte) non si corrompa". Lui non lo sa, ma finalmente la sua non è più una lotta solitaria.
Rimane nei campi di concentramento francesi finché non è consegnato alle autorità italiane, che nell’agosto del 1942 lo condannano a cinque anni di confino a Ustica.
4.
Uccelli neri sulle piante
Doniamoci tutto
Dopo il 25 luglio 1943 il governo Badoglio, anche se riluttante, rilascia tutti gli antifascisti, ma non gli anarchici, che sono trasferiti nel campo di prigionia di Renicci-Anghiari, dove rimangono fino alla fuga dei carcerieri, poco dopo l’8 settembre. Una volta libero, Giandante torna a Milano, dove collaborerà con la Resistenza.
Finita la guerra riapparirà alla "Casa della Cultura", per consegnare a Dino Formaggio dei paesaggi a carboncino: "Tò, vendi questi, il partito ha bisogno di denaro…".
Il Giandante del dopoguerra è un piccolo uomo, occhio fisso e testa lucida, che vive e lavora in un seminterrato di via Senato, senza riscaldamento né elettricità.
Ha smesso il pastrano stalinista e la divisa di velluto nero che portava in qualunque stagione, non ha più il maglione, il cinturone, le scarpe chiodate da Everest, è in borghese, tanto per intenderci, con quel tanto di umile, di banale, che l’abito civile sottintende… Non gli è rimasto di magnetico, di demoniaco, che l’occhio
Quasi nessuno sa del suo passato, non racconta della militanza antifascista, né della guerra, né della prigionia. Non segue mode, non firma manifesti, non ha partito. I dibattiti e le polemiche di gruppo tra artisti e mercanti, nei caffé, nei salotti e sui giornali, non lo interessano adesso più di quanto lo interessassero prima della guerra.
E’ troppo prolifico per interessare il mercato, e la critica militante lo ignora, seppur con clamorose eccezioni, come quella di Giulia Veronesi. Lui ignora critica e mercanti. Quando può, continua a regalare le sue opere. Vuole un quadro in ogni casa. Plasma piccole terrecotte e dipinge a encausto su cartone e masonite. Il soggetto dominante è il volto, che sembra guardare alla sofferenza e alla vita ritrovata con occhi non disposti a trattativa. Dipinge flore delicate e magmatiche, montagne terribili, fiori il cui "profumo - scrive in una sua poesia - suda pianto". La sua pittura dà asilo al riscatto degl’irriducibili e al ricordo dei sommersi, a passioni implacabili, "fragrantemente umane".
Pubblica piccoli volumi di liriche per "Rosa e Ballo Editori", simbolo, con Scheiwiller, della piccola e coraggiosa editoria milanese del dopoguerra. Verrà pubblicato anche in Francia, dove lo accosteranno a Dino Campana.
..."Se ne accorgeranno fra qualche anno, c’era Giandante, l’anarchico antifascista... conosce trenta galere europee, laureato al Politecnico, scrive versi come Jacopone..."
5.
Il compagno - l’uomo - l’ho salutato
tra la folla di sempre
(...) la sua forza, festa del bene trionfale
Spesso ospite dei Pesce, medaglie d’oro della Resistenza, non perde occasione per concedersi un ballo con Onorina Brambilla Pesce, la donna che il fascismo, gli interrogatori nazifascisti e il campo di concentramento non riuscirono a piegare. Il marito di lei, Giovanni Pesce, compagno di Giandante in Spagna e leggendario comandante dei GAP milanesi, nel 1984 paga i funerali dell’amico, con il quale perde "un compagno tra i più sensibili all’amicizia, al rispetto".
La campana del tempo chiama
Tutti gli uomini dalle dure mani
Tutti i tessitori tutti i ferrai tutti i volontari
E tutti gli innamorati*
*Nota: tutti i versi riportati e la poesia finale sono di Giandante X.”